Sanità in Montagna. Un po' di riflessioni.

I ripetuti tagli di risorse che investono il sistema pubblico ha interessato, nel tempo, non solo le autonomie locali (Comuni e Province), ma anche servizi la cui erogazione ricade solo indirettamente sotto il controllo dei governi locali. Fra di essi i servizi sanitari. Il tema è molto delicato, non fosse altro perché il Diritto alla Salute è sancito nella Costituzione Repubblicana che, all'articolo 32, recita testualmente: "La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti". Il fatto è che se si considera, come è abbastanza normale che sia, il diritto alla salute come derivato del diritto alla vita, il diritto alla salute ricade a pieno titolo nella sfera dei cosiddetti diritti naturali, quei diritti cioè che hanno valore fondante rispetto alla natura e alla dignità dell'uomo. Tutto questo per dire che un paese che ambisca a dirsi civile e democratico deve sottoporre il tema ad una accurata valutazione "di principio" ogni qualvolta gli assetti del sistema sanitario debbano, per qualsivoglia motivo, essere rimessi in discussione.

Ebbene ... oggi, per i motivi testé delineati, viviamo una fase di profondo ripensamento del sistema sanitario nazionale e, in cascata, di quelli regionali che sono chiamati a dare veste operativa al disegno nazionale. Beh, il copione è abbastanza consolidato. Tagli di risorse dall'alto che si riverberano a scendere su tutti i gangli dell'organizzazione sanitaria. Intendiamoci: il sistema Italia non ha brillato per efficienza. Gli anni del boom sono stati caratterizzati da una gestione delle risorse pubbliche decisamente poco oculata e non c'è dubbio che un giro di vite fosse necessario. La sanità, in questo quadro, non ha fatto eccezione. E tuttavia, come sempre accade, da una estremità si sconfina verso l'altra, spesso senza fermarsi a scrutare la via intermedia. Il mondo della sanità pubblica è ricaduto sotto la scure della spending review e le regioni, in presenza di un quadro economico finanziario radicalmente mutato, si sono viste costrette a rivedere pesantemente i modelli organizzativi dei relativi sistemi sanitari regionali. I governatori hanno dovuto fronteggiare le proteste, a volte legittime e motivate, a volte meno, dei sindaci e dei comitati che vedevano indebolirsi, sui loro territori, i reticoli di protezione determinati dalla presenza dei servizi socio sanitari.

Beh che dire ... che serve equilibrio. Occorre trovare la giusta misura fra un uso doverosamente razionale delle risorse disponibili, sempre più scarse, e il sacrosanto diritto alla salute che va garantito. Soprattutto ai più deboli e soprattutto e ancora di più se ci si ispira, come nel mio caso, ad un area di pensiero che punta a garantire agli ultimi le stesse condizioni di accesso ai servizi che spettano ai primi. Già. Ma chi sono gli ultimi. Sono le persone meno facoltose certo. Quelle che non possono garantirsi "in proprio" il diritto alla salute. Sono i meno attrezzati a capire come e dove, quelli che vanno guidati nelle scelte in situazioni di vita decisamente poco fortunate. Ma gli ultimi sono anche i territori. Quelli lontani dai centri urbani, dalle grandi arterie viarie, dai punti di approvvigionamento diretto dei servizi. E qui siamo al tema del rapporto fra riforma sanitaria e aree di montagna.


Parliamo di territori fragili, caratterizzati da un'alta incidenza di popolazioni anziane, spesso gravate da difficoltà di spostamento sia personali, sia legate alla conformazione dei territori e dei sistemi viari. Beh, nessuno pretende di avere il medico a due passi o, men che meno, di accedere a prestazioni altamente specialistiche a due passi da casa. Il tema nevralgico è quello di capire come si garantisce un trattamento di emergenza efficace ad un cittadino della Montagna al pari di chi vive a duecento metri dal Pronto Soccorso. Fin qui, una rete di emergenza diffusa capillarmente sui territori aveva garantito la presenza di un paracadute largo, una sorta di protezione estesa a beneficio di tutti. Oggi, la necessità di stiracchiare la coperta genera, forse, qualche strappo in qua e in là.

La metafora della coperta non è casuale. Il modello ricorrente che viene proposto, con l'obiettivo di coniugare qualità del servizio e riduzione della spesa, è quello di una rete fatta di nodi (punti di approvvigionamento dei servizi) e di archi (essenzialmente connessioni viarie che consentono il raggiungimento dei nodi). Una coperta di maglia insomma, dove correndo lungo i fili si raggiungono i punti di interesse. Già ... ma se la maglia la tiri troppo si strappano i fili e, bene che vada, si allontanano i nodi. Insomma il tema è: tu fai parte di una rete e qualunque punto occupi in quella rete hai gli stessi diritti di ogni altro occupante. Alt. Se parliamo di pronto soccorso il fatto di stare al centro o alla periferia non è irrilevante. Il tempo di arrivo al Pronto Soccorso in caso di evento acuto è nevralgico. In letteratura si cita la cosiddeta Golden Hour come il tempo massimo entro cui raggiungere un punto attrezzato dove possa garantirsi la stabilizzazione del paziente. Lo sforare quell'ora potrebbe risultare fatale. E allora la domanda è: basta un punto di Primo Soccorso in un luogo intermedio della rete per garantirsi la sopravvivenza in caso di evento avverso? Le opinioni sul punto sono le più diverse e le più disparate ma è opinione di chi scrive che la cosa costituisca un elemento oggettivo di criticità. Una rete sanitaria che funziona deve porsi il primo obiettivo della garanzia di sopravvivenza.

L'attenzione al punto è confermata dall'Intesa (Scaricabile QUI) siglata dalla Conferenza Stato - Regioni il 5 agosto 2014 "concernente il Regolamento sulla deifnizione degli standard qualitativi, tecnologici, strutturali e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera". Al punto 9.2.2 (Presidi ospedalieri in zone particolarmente disagiate) si legge testuale: "Sono presidi ospedalieri di base che le Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano possono prevedere per zone particolarmente disagiate in quanto definibili, sulla base di oggettive tecniche o di formale documentazione tecnica disponibile, distanti più di 60 minuti dai Punti di Pronto Soccorso, superando i tempi previsti per un servizio di emergenza efficace".


E' evidente che ogni "zona disagiata" è una storia a sé. Se penso alle specificità della Montagna Pistoiese mi viene da dire, in prima approssimazione e al lordo delle "basi oggettive" cui si fa riferimento nel testo e di cui ad oggi non disponiamo, che noi ricadiamo in questa tipologia di "zone". Il tratto Abetone - Pistoia (primo Pronto Soccorso attrezzato) richiede un'ora di percorrenza in condizioni di normalità. E questo solo percorrendo l'arteria viaria principale. Ci sono frazioni, borgate e case sparse che se se prendono a riferimento quale punto di partenza i tempi di primo accesso al servizio si dilatano enormemente. Tutto ciò senza considerare altre condizioni di impedimento, quali la neve, che rallentano ulteriormente il trasporto e rendono di fatto impossibile il raggiungimento delle zone interessate da parte del servizio di elisoccorso.

Beh insomma ... sulla scorta di queste riflessioni verrebbe da dire che un punto di Pronto Soccorso "vero" a metà strada, in corrispondenza del PIOT di San Marcello, sarebbe l'elemento di garanzia che manca allo stato attuale dell'organizzazione ospedaliera montana. Il senso di quel "vero", forse, va un po' spiegato, soprattutto per chi non conosce la storia recente dell'Ospedale di San Marcello. E dunque ecco qui una breve panoramica degli accadimenti più recenti.

Nella primavera del 2013 l'ospedale di San Marcello è oggetto di una pesante riorganizzazione. Il reparto di chirurgia viene chiuso e il locale posto di Pronto Soccorso si trasforma in un punto di Primo Soccorso. Viene mantenuto il reparto di medicina così come gli ambulatori per le visite specialistiche. Nel luglio dello stesso anno la Conferenza dei Sindaci approva i patti territoriali, strumento che contiene, o dovrebbe contenere le necessarie garanzie di servizio territorio per territorio. Si è molto discusso di questo riassetto. Per quanto attiene alla Montagna il documento conriene un richiamo forte e ricorrente al tema della garanzia circa la permanenza del "Pronto Soccorso". Le virgolette non sono casuali perché nel testo compaiono sistematicamente ogniqualvolta si faccia riferimento al "Pronto Soccorso". Ma ... al di là delle parole: cos'è un Pronto Soccorso? Il punto 9.2.1 chiarisce che il concetto: " ... trattasi di Struttura Organizzativa Ospedaliera deputata ad effettuare, in emergenza urgenza, stabilizzazione clinica, procedure diagnostiche, trattamenti terapeutici, ricovero oppure trasferimento urgente al DEA. Devono essere presenti le discipline di medicina, chirurgia, anestesia, ortopedia". E qui siamo al tema nodale. La rimozione della chirurgia, che si portava dietro il chirurgo, l'ortopedico e l'anestesista, ha operato, sulla Montagna, in logica di rimozione del nodo di Pronto Soccorso facendone venire meno le prerogative fondamentali e dunque è corretta la variazione di nomenclatura da Pronto Soccorso a Primo Soccorso.


A San Marcello non si effettua alcuna stabilizzazione ma ci si limita, quando possibile, ad una prima valutazione del paziente che deve essere inviato al Pronto Soccorso "vero" più vicino. Vale a dire quello di Pistoia. E' del tutto evidente che la sopravvivenza della chirurgia è un "espediente", uno strumento per garantire sostenibilità economico finanziaria al servizio di Pronto Soccorso che non potrebbe "alimentarsi" delle sole prestazioni di emergenza. E allora? Assumiamo come principio che il montanaro più distante dal centro di erogazione dei servizi di emergenza urgenza abbia le stesse garanzie di sopravvivenza di un abitante di Pistoia? O in termini prudenziali, e in attesa delle "evidenze oggettive", conveniamo che un punto di accesso intermedio al sistema dell'emergenza urgenza è opportuno. Secondo me la seconda. E allora il tema diventa: come si garantisce la sostenibilità di un Pronto Soccorso "vero" in assenza della chirurgia? Ripristinando la chirurgia direbbe il Generale De La Palisse. Lapalissiano! Ma per non essere scontati, e soprattutto per non sostenere battaglie di retroguardia, credo che la soluzione vera stia nella riappropriazione del Progetto.

Mi spiego meglio. In un momento di gravi ristrettezze finanziarie e di fronte all'obbligo di operare una razionalizzazione in grado di sfruttare al meglio le risorse, si è giustamente messo in campo un modello di rete. Concentrare le risorse per trasformare ogni nodo del sistema in un punto iperspecialistico in grado di erogare "eccellenza" è una scelta giusta. Eppure ... laddove il modello di rete espone il fianco a una debolezza, è necessario operare i necessari correttivi. Sulla Montagna si è razionalizzato, si è tolto, si è destrutturato. Ora serve il Progetto. Rivisitare l'identità di un ospedale di periferia nella logica di farne un'eccellenza per mantenervi all'interno quanto serve alla tenuta di un pronto soccorso. Forse si dovrebbe operare una analisi dei bisogni dei cittadini della Montagna e leggerli in termini di integrazione con quelli di chi abita in altre zone della "rete". Attorno a questi bisogni immaginare un sistema di servizio di eccellenza, rivolto a tutti gli utenti del sistema, che preveda un uso sistematico e continuativo delle figure professionali che sono necessarie al mantenimento del Pronto Soccorso. Beh, studiandoci un po' credo che si possa fare senza dispendio di risorse. Anzi. Nella logica di un uso più razionale delle stesse.