Il Legame di Terzani con la Montagna e con Piteglio

Nel lontano 1999 la Provincia di Pistoia dà alle stampe il secondo quaderno dell'ecomuseo. Si tratta di un libello curioso, dal titolo strano: "Fatteccosiècche - Leggende paure e riti del paese di Piteglio". Giuseppe Mucci ne è l'autore. Un uomo che ha messo i suoi occhi attenti al servizio del "nostro", intendendo per "nostro" le autentiche perle che sgorgano da una tradizione secolare, testimoni del legame profondo che c'era, e che c'è, fra le usanze e i riti del paese e le convinzioni che si ritrovano nei caratteri di antichissime culture primigenie. Il libro si presenta a Palazzo dei Vescovi. Io ero lì. E lì c'era anche Tiziano Terzani. Lui, Tiziano, di quel libretto aveva scritto la prefazione e ora ce lo raccontava. Rimasi letteralmente estasiato, estasiato da lui, dal suo aspetto tibetano, dalla leggerezza delle parole, parole che planavano da un capo all'altro del mondo restituendo l'idea che Piteglio era ovunque. Sì perché l'uomo, nelle sue diversità, è identico per ogni dove, stesse paure, stessi riti, stesse ansie di elaborazione e di conoscenza.

"Bellissima, eccola qua: un'altra prova - se mai ne avessi avuto bisogno - che ho speso la vita andando a cercare lontano, a volte negli angoli più strani e più remoti del mondo, quel che avevo vicino, sull'uscio di casa. Ma i bei libri servono giusto anche a questo - a rivelare una qualsiasi piccola verità - e il libretto di Mucci m'è servito a confermare qualcosa che mi era chiaro da tempo: che nella storia degli uomini, qualunque sia il cielo che sta sulla loro testa, c'è una sorpprendente, comune percezione del mistero, cioè del divino". Questo l'incipit della prefazione di Tiziano.

Il mistero, il divino, la natura, concetti archetipici che riconsegnano l'uomo alla sua dimensione più autentica. Nudi, di fronte al mistero del nostro esistere, riscopriamo il valore della conoscenza e della libera espressione di noi stessi quali strumenti per ritornare a noi e alla natura madre. Ritrovata la via, la bellezza rinasce a nuova vita. Non c'è arte, non c'è musica, non c'è letteratura che non passi attraverso l'alimento della natura e della terra.

Viene in mente Gauguin, che nella Parigi di fine ottocento, rumorosa e preindustriale, si scopre testimone della morte della creatività e dell'arte. Da quella Parigi si vede costretto a fuggire. Raggiunge Thaiti, dove la magia della pittura, ritrovato il contatto con la natura e con i misteri di cui si ammanta, riprende, dopo anni di silenzio, il respiro lungo dal quale ha tratto origine.

E' questo il richiamo più forte della Montagna: le asperità del suolo, i profili ruvidi che si stagliano nudi sull'orizzonte, il soffio dei venti, gli animali, le foglie, gli alberi. E infine noi, noi uomini, a leggere e interpretare quanto la natura ci insegna. Giorno dopo giorno. Sradicati da questo orizzonte, e costretti a condurre una vita sempre più frenetica, ci scopriamo bisognosi di terra. Di questa terra. Piteglio è un universo di simboli, di riti, di leggende, di fate e di folletti che si fanno interpreti di un mondo che non conosciamo ma che è intimamente in noi. Un mondo che abbiamo bisogno di sentire nostro e di riconsegnare agli altri, nella forma di una ritrovata creatività.

Ci è sembrato bello, ma vorrei scrivere doveroso, ristampare questo libro per una ricorrenza speciale: l'intitolazione del plesso scolastico di Piteglio a Tiziano Terzani. Un evento che segna il consolidarsi di un rapporto fra quanto rappresentato dalla persona e un territorio. Confidiamo che questo legame sia gravido di implicazioni e che, con l'ausilio del personale scolastico, possa contribuire, partendo dalle azioni educative condotte con i bambini, per i bambini, a forgiare una generazione di gente altamente consapevole dei valori della nostra Montagna.