Ancora sui Richiedenti Asilo

Ebbene sì. Ritorno sull'argomento richiedenti asilo. Parto dalla domanda che ho visto affacciarsi negli ultimi giorni, una domanda perfettamente legittima che merita risposta: "E ora che succede?". Provo a rispondere qui di seguito.

Il sottoscritto ha recuperato, nei giorni scorsi, la possibilità di esprimere un parere formale all'indirizzo della Prefettura che ha gestito e sta gestendo la procedura di istituzione del centro. Il parere in questione l'ho espresso io direttamente prendendomi, tutta, la responsabilità politica di leggere e interpretare le diversificate, a volte opposte, sensibilità del Consiglio Comunale e dei cittadini. Il parere che ho espresso, come avrete appreso dalla stampa, è un parere negativo.

Qualcuno ha detto che ho cambiato idea, che sono tornato indietro rispetto alla posizione originaria. Falso. Che la collocazione all’Hotel Giardini non fosse la più idonea l’ho espresso dal primo momento. Lo pensavo e lo penso anche adesso. Per diversi motivi che ho puntualmente enunciato nel parere. Bene. E ora? Ora la Prefettura metterà sul piatto della bilancia le valutazioni tecniche sulla struttura e il parere del Sindaco poi, in autonomia e con la piena facoltà di farlo, deciderà se soprassedere o andare avanti dando al territorio tutte le garanzie del caso.

E ora, per chi ancora conservasse un po’ di voglia di leggere, proviamo ad allargare lo zoom. Le Prefetture agiscono per conto del Ministero dell’Interno nella gestione dei processi di accoglienza. Devono farlo. Conseguentemente agli arrivi ogni Provincia d’Italia si vede assegnato un certo numero di persone che debbono trovare accoglimento sul territorio. Certo, si può non condividere, si può coltivare l’illusione che mettendo un tappo da qualche parte si possa arrestare tutto. Non è così. E soprattutto queste dinamiche decisionali non sono vicine al territorio, sono processi che si sviluppano fra Roma e Bruxelles. La materia dell’emigrazione è esclusiva dello Stato e come tale lo Stato la gestisce. Se ce ne fosse bisogno anche in barba ai territori. Fino alla requisizione delle strutture. Questo il potere che hanno i Prefetti. Terrificante!

E allora il territorio che fa? Il territorio, se è furbo, governa il fenomeno per come meglio si può. E il modo per governarlo non è il classico abbaio alla luna, il richiamo alle pance o lo sventolio della paura atavica dell’uomo nero. Il modo per governarlo è discuterne anche da posizioni contrapposte con le Prefetture. In queste settimane ho fatto questo: ho chiesto con forza al Prefetto che, al di là della storia di queste ore, comunque vada a finire, si lavori per una condivisione con i Comuni di tutta la Provincia, operando nella direzione di una ripartizione dei richiedenti asilo che sia equa e proporzionale rispetto alla popolazione residente. Ed è evidente che se tutti chiudono a questa opzione, il caso si apre la porta da sé. E il caso ha una fisionomia precisa: una struttura sfitta e una cooperativa. Tutto lì. E il gioco è fatto.

Ecco perché da tempo l’amministrazione si era incamminata sulla via dell’accoglienza diffusa: numeri piccoli (non più di trenta quaranta/persone considerato il peso della nostra comunità) aderendo alle reti SPRAR. Lo abbiamo detto con convinzione perché numeri piccoli alimentano esperienze costruttive, incrementano la qualità dei servizi e il livello dell’integrazione. E’ un punto di vista che tutela sia i cittadini che i richiedenti asilo. Se poi in quelle reti ci sta anche qualche famiglia e qualche bambino, meglio. Piccoli numeri fanno bene anche alle nostre scuole. Ne alimentano la tenuta numerica in un momento di forte denatalità.

La politica più becera mi ha accusato di lavorare per la “sostituzione etnica”. Mi viene da sorridere. E allora mi spiego: l’equivalente di trenta persone, famiglie, che si portano dietro sette/otto bambini possono di fatto scongiurare dallo scivolamento in pluriclasse che si produce spesso per la mancanza di una unità, in più o in meno, a comporre una classe.

Ho parlato a più riprese di trenta/quaranta. Non è per caso. Perché quello è il numero limite che, dal mio punto di vista, rende gestibile il fenomeno, senza scossoni per la comunità e nella massima attenzione per i richiedenti asilo. Da quando la mia amministrazione si è insediata il numero dei profughi si è drasticamente ridotto. Non so se qualcuno se ne è accorto. C’è una strategia: sostituire i centri di accoglienza straordinaria con esperienze più evolute. Numeri più piccoli e meccanismi di integrazione più robusti ed efficaci. E l’evento imprevisto dell’Hotel Giardini è andato in parte a scompaginarla, anche se quello, per noi, continua a rimanere l’orizzonte.

Dall’Hotel Giardini siamo partiti e all’Hotel Giardini si ritorna. E adesso? Che succede? La parola alla Prefettura, ma qualunque cosa succeda fatemi precisare due concetti.

Il primo: mi si è chiesto in consiglio comunale di visionare, giorno per giorno, la scheda personale delle persone che dovessero transitare nel centro. E allora perché non quelle di tutti gli sconosciuti che passano sul Ponte di San Marcello piuttosto che nella Via Repubblica a Maresca. Quelle sono informazioni disponibili alle forze dell’ordine dalle quali il sottoscritto si sente abbondantemente garantito. Non c’è bisogno di evocare le ronde. Le forze dell’ordine ci sono e fanno benissimo il loro lavoro. Oltretutto le persone che dovessero arrivare non sono pericolosi galeotti. Sono persone incensurate che hanno tutto l’interesse a rigare dritto perché da quello dipendono tutte le loro chances.

Il secondo: qualunque sia la decisione della Prefettura c’è un aspetto di fondo; ho sempre pensato che nella misura delle proprie possibilità un pezzetto del “nostro” vada dedicato agli altri. Quel pezzetto, nei riguardi del tema dell’emigrazione, per quanto mi riguarda, ammonta a quel numero che ho scritto sopra e mi rifiuto di pensare, qualunque sia la forma dell’accoglienza, che una comunità di ottomila persone non sia in grado di assorbirne trenta. Perché se così fosse sarebbe il fallimento della civiltà.