Eusebio e Florestano

Articolo pubblicato su MenteCritica

 

Robert Schumann, certamente una delle personalità più complesse che la storia della musica abbia visto affacciarsi al proprio palconesenico, svolse anche una intensa attività di pubblicista in materia musicale. Quando scriveva era solito firmarsi con uno pseudonimo. Anzi con due: Eusebio e Florestano. A volte l'uno altre volte l'altro. Eusebio era l'uomo timido e pensoso, un essere fortemente ripiegato su se stesso. Florestano era invece l'esplosione rumorosa del più ardente e generoso entusiasmo. Fra loro compariva, a volte a fare da pacere, un terzo personaggio: Maestro Raro. Come esattamente i tre personaggi si rapportassero gli uni gli altri è aspetto che non interessa. Quello che invece è rilevante è la volontà di mettere in scena questi opposti. La personalità, a tratti decisamente schizzofrenica di Schumann, sente il bisogno di rappresentarli. Beh .... la personalità iper-sensibile dell'artista romantico riversa, personificati nella propria produzione, gli archetipi di quando vive e convive in noi. Eusebio e Florestano, il Dr. Jekyll e Mr. Hyde, Apollo e Dioniso, sono soltanto alcuni dei personaggi che hanno preso forma nel panorama letterario occidentale, a richiamare l'attenzione sulla doppiezza delle istanze che albergano nell'uomo.

Di cosa siano espressione i due? Di tutti gli opposti che si combattono nei nostri più profondi sotterranei. Amore e odio, bene e male, felicità e sofferenza, cuore e ragione. E in mezzo sempre lui: Maestro Raro, a mostrare il volto rigonfio delle percosse che gli piovono addosso di continuo e da ogni parte.

Fra tutti i possibili lati contrapposti che siamo chiamati a portare a sintesi, uno ci interessa più degli altri. Si tratta di quello che vede schierate su fazioni frontali il lato maschile e quello femminile di noi. Maschile e femminile sono solo termini in fondo: strumenti per ricomprendere le cose entro categorie  conosciute. Potremmo usarne altri e la distinzione rigida fra questi due mondi si farebbe più sfumata. Su un lato troviamo la tendenza a fidarsi del cuore, dei sentimenti, l'abitudine di sedersi a guardare gli arabeschi, disegnati sul fondo di noi dai magmi turbolenti che scuotono scaldano, illuminano, a volte bruciano. Dall'altra parte c'è l'argine, che a quei magmi vogliamo porre nel tentativo di governarlii. Anche quando governarli non è possibile. Se ci voltiamo a destra intravediamo un mondo fatto di concatenazioni logiche, dove l'unico modo di arrivare a un pensiero, partendo da un altro pensiero, è quello di battere sentieri puliti, dove i punti di sosta sono accuratamente studiati e posizionati. Guardando invece verso sinistra, non si scorgono sentieri. Si vedono solo pensieri. Pensieri che emergono improvvisi dal fitto della boscaglia. Macchie isolate di luce che per essere raggiunte richiedono il coraggio di una immersione totale nel buio trattenuto dalle fronde.

Non sono un antropologo purtroppo, né uno storico. Dunque mi sono completamente sconosciute le ragioni per cui, fuor di metafora politica, il mondo che ho localizzato a destra rappresenta l'uomo, mentre quello posizionato a sinistra la donna. Sarà per la natura più muscolare del maschio, destinato al procacciamento del cibo e alla salvaguardia fisica del nucleo familiare, più incline a impastare la materia che non i sentimenti, sta di fatto che maschio e femmina sono divenuti gli archetipi degli opposti universi appena delineati.

La realtà delle cose è che si tratta di due istanze lontane anche se universalmente presenti in ogni essere umano. Tuttavia la storia evolutiva ha voluto che i generi si identificassero a tal punto nel proprio profilo, che l'apparire altro è divenuto sinonimo di stortura, di diversità patologica. L'uomo in particolare, ma forse sarebbe più corretto dire il maschio, soffre mortalmente della sua inaderenza all'immagine antropologica di sé. Guai a confessare una debolezza, a mostrarsi incerti, a seguire una logica illogica, a lasciarsi sfuggire una lacrima. Sarebbe come confessare la propria inadeguatezza, come chiedere aiuto a chi chiede aiuto. E allora forza con le palestre, i sigari cubani, gli ormoni che gonfiano i bicipiti fino a farli esplodere, le tartarughe che albergano sugli addominali. Solo che ... questa spettacolare esibizione di muscoli travalica spesso nella volontà di dominare, controllare il lato femminile della rappresentazione. Il proprio e l'altrui. E allora ... non puoi subire una sconfitta, non puoi arrenderti a un abbandono, non puoi mostrarti inerme di fronte a una cosa che ti svela in negativo. Dunque reagisci, urli, sbatti con forza e ... a volte colpisci. Colpisci fino a ferire. A uccidere. E' il triste copione che si ripete spesso in una società dove i maschi sono troppo maschi. Ineducati ad ascoltare la voce di donna che sale dal profondo.

Mi rivolgo ai miei fratelli maschietti. Mettiamo al lavoro Maestro Raro. Chiediamogli aiuto. Che sia lui a far parlare Florestano... e comunque mai prima che questi abbia ascoltato e compreso le ragioni di Eusebio.