Bolero. Negazione della civiltà

Ravel è stato uno dei compositori più evoluti e raffinati che la storia del pensiero musicale in occidente sia mai riuscita a produrre. Gli anni che videro l'accrescersi della sua parabola artistica furono segnati da una profonda evoluzione della musica. Insieme con Debussy, Massenet e Fauré, Ravel contribuì ad ampliare enormemente la tavolozza espressiva del compositore, agendo in profondità su tutte le componenti del linguaggio: quella armonica, quella melodica, ma anche e soprattutto quella timbrica e orchestrale. Non è errato dire che l'orchestra di Ravel è in assoluto la più completa, efficace e complessa che sia dato di poter ascoltare. L'uomo era schivo e riservato e la sua vita improntata ad una ricerca interiore che non poteva esimersi dalla meditazione solitaria. Conobbe fama e ammirazione ma non fu mai persona di mondo e si riservò sempre una nicchia appartata in cui dar voce e corpo alle proprie creazioni. Gli ultimi anni furono segnati da una solitudine creativa ancora più acuta. Dopo aver partecipato per quattro volte al celeberrimo Prix de Rome senza vincerlo mai, si ritirò sdegnato anche dall'attività concertistica lasciandosi spazio per qualche sporadica apparizione. Per una strana beffa del destino quell'isolamento, per certi versi cercato con tenace ostinazione, divenne la cifra scomoda degli ultimi anni. Nel 1932 Ravel si ammala di una rara patologia di tipo neuronale che distrugge poco a poco la sua capacità di scrivere: nonostante l'essenza intima del pensiero rimanga intatta, ogni capacità di tradurlo in segno è, di fatto, completamente azzerata. Scrive con fatica in francese pescando dentro di sé fra le macerie dell'alfabeto, ma la tragedia più grave è nel fatto che anche il pentagramma è diventato un mondo ignoto e oscuro: "ho ancora tanta di quella musica nella testa, non ho ancora detto niente e ho ancora tanto da dire" confesserà a Helene Morhange nel dicembre del 1937 nei giorni in cui cercava disperatamente di portare alla luce il mondo di suoni che aveva dentro. In quello stesso mese Ravel morirà dopo il vano intervento di chirurgia cerebrale tentato dal Professor Vincent.

Quando mette le mani a Bolero è il 1928. Lui è un compositore schivo ma compiutamente affermato. L'uomo ha ormai varcato le soglie della maturità e il dramma della musica inghiottita dal silenzio non si è ancora manifestato. Parigi, la città in cui vive, è ormai una classica metropoli dalla fisionomia industriale in cui si manifestano tutte le positività, ma anche tutte le contraddizioni, di una società potentemente orientata al profitto. Si respira il clima festoso della Bell'Epoque, l'ottimismo tutto positivista di chi immagina che la tecnologia sarà capace di piegare la natura ai bisogni dell'uomo, la convinzione che l'era del benessere è appena agli esordi. Ma accanto a questi "fronzoli" crescono le sacche di emarginazione, le periferie livide di conflitti sociali, la percezione di aver costruito un mondo che persegue i suoi fini meramente economici in aperto e dichiarato contrasto con le istanze più profonde dell'uomo. Il compositore ha vissuto in prima persona le atrocità del primo conflitto mondiale. Poiché ha problemi fisici si arruola come volontario e viene destinato alla guida dei mezzi di soccorso. L'autiere Ravel batte i campi di battaglia portando aiuto ai feriti e conforto ai moribondi. Quella esperienza aveva aperto un varco fra le pieghe di quell'ottimismo positivista di cui il musicista era figlio. In quel varco si insinuano poi le contraddizioni appena dette e quella fessura, giorno dopo giorno, diventa una voragine aperta sulle, storture della civiltà. Roso da queste correnti, il pensiero positivo si rovescia nel suo contrario. Bolero è lo strumento espressivo di questa "rivolta".

Nel 1927 la ballerina russa Ida Rubinstein domanda a Ravel di comporre un balletto di ambientazione spagnola. E' un periodo denso di impegni per il musicista che, per avvantaggiarsi sui tempi, ipotizza di musicare alcuni spezzoni di Iberia, opera pianistica del compositore spagnolo Albeniz. Il progetto naufraga immediatamente poiché gli eredi hanno già ceduto i diritti della composizione. Ravel non si perde d'animo e decide di costruire l'opera da zero. Lo fa a modo suo però. Concepisce Bolero in pochi mesi, incardinandolo in una lucidissima logica di distruzione della civiltà. L'azzeramento delle finezze espressive che Ravel era andato maturando negli anni ne costituisce la cifra distintiva. Sparisce del tutto l'armonia, la melodia si fa elementare ma sinuosa come a mimare l'avvitamento in un amplesso liberato da ogni costrizione, l'orchestra è ricchissima ma elementare nella sua sostanza timbrica. Sopravvive il ritmo: la componente primordiale, archetipica del linguaggio musicale. Nel Bolero tutto il cammino dell'uomo è rimesso in discussione e nell'ascolto ci si sente risucchiati verso gli albori della civiltà. E' un tuffo nel passato: quel passato dove si rientra magicamente in contatto, senza veli e senza mediazioni, con la natura primigenia delle cose. Viene in mente il cammino analogo, anche se condotto su un terreno diverso, compiuto dal pittore Paul Gauguin. Anche lui si mette in ascolto della Parigi dei primi del novecento, una città luminosa ma che sferraglia nervosa dentro le sue fabbriche, che alimenta l'uomo nei suoi bisogni primari ma che lo sradica da quelli più veri. Ebbene Gauguin intravede, nella propria permanenza a Parigi, il rischio del morire dell'arte. Teme che l'uomo, privato dei suoi desideri, lasci seccare la dimensione creativa di sé. Quindi parte, alla volta di Thaiti, dove ritrova una umanità vergine, non filtrata dalle sovrastrutture convenzionali plasmate da secoli di storia. E' il luogo del mito, della natura, del sogno; un mondo dove l'arte è libera di vivere e respirare. Il segno si fa tenue, liquido, disteso e le sue "donne" ritrovano la serenità dell'uomo delle origini. Gauguin e Ravel, il primo nella vita il secondo nell'opera, interrompono il cammino della storia per ritrovare, alle radici della storia, il senso vero dell'essere uomini fra gli uomini.


Dal punto di vista costruttivo Bolero è di una semplicità, e in questo di una genialità, disarmanti. Non è avventato dire che anche il pensiero formale si azzera. Il tema è unico, a segnare la distanza con il tradizionale bitematismo della forma sonata. Le frasi del tema sono due, entrambe di sedici battute, la prima in do maggiore e la seconda in do minore. Tutto qua. L'evolversi del "ragionamento" è affidata ad un maestrale crescendo che si produce gradualmente nell'arco di ben diciotto ripetizioni del tema. Unica variante la virata finale in mi maggiore e la nuova "scivolata" verso do maggiore per la chiusa sugli orgiastici glissando dei tromboni.

Prescindendo dalla trama del balletto e da ogni riferimento concreto, se chiudiamo gli occhi e ci mettiamo in ascolto, Bolero ci precipita in un vortice di sensazioni "a pelle", dentro una sorta di rito dionisiaco dove la sostanza quasi animalesca dell'uomo si libera senza alcuna mediazione. E' la vittoria del cuore, la più eloquente messa in scena della potenza dei sentimenti e, insieme, la distruzione della ragione come luogo presunto della felicità. D'altronde, non era la prima volta che Ravel approdava sui lidi di una critica corrosiva indirizzata contro le mirabolanti quanto vuote luccicanze della società borghese di inizio secolo. Certo, di quel filone di pensiero Bolero rappresenta la sostanza più caustica, ma già nel 1920 il compositore aveva prodotto "La Valse": parodia sarcastica della danza più intimamente legata alla joie de vivre di stampo positivista. "L'ascoltatore", scrive Enzo Restagno, "viene adescato dagli effluvi del ritmo, dai dolci fantasmi della melodia turbinante tra la nebbia, ma subito dopo quelle seduzioni vanno in frantumi, mostrando spigoli acuminati e minacciosi". Pochi mesi dopo lo strabiliante successo di Bolero, si fanno sentire le prime avvisaglie del male che condurrà Ravel verso la fine. Da quel momento il compositore si farà sempre più schivo e isolato, fino a sprofondare in una cupa disperazione attenuata soltanto da una rete di amicizie solida ed estesa. Dopo il Bolero porterà a conclusione due sole composizioni di rilievo: il concerto in sol per pianoforte e orchestra e il concerto per la mano destra scritto per il pianista mutilato Wittgenstein. Il 28 dicembre del 1937 Ravel muore nella sua Parigi. Bolero era già una pietra miliare del repertorio classico e la fama di quell'opera, plasmata sulla natura più autentica, profonda e inconfessata dell'uomo, crescerà, giorno dopo giorno, senza alcuna interruzione.