Radici

Nella mia vita professionale mi capita di fare l'Ufficiale di Stato Civile. E' un mestiere banale, fatto di carte ingiallite e polverose, di formule stereotipate che annotano i nostri mutamenti di stato nei passaggi che segnano il divenire di noi nella società. Eppure in quelle carte si stratifica la vita delle persone. Quella conosciuta allo Stato certo, quella che passa sotto la lente di ingrandimento del mondo, ma pur sempre la vita.

Nei rituali, sclerotizzati e stanchi con cui si redigono gli atti c'è, tuttavia, una patina magica, una sacralità, un'aura di sentimento che ha radici profonde. Te ne accorgi quando qualcuno si commuove, vorrebbe fotografare il foglio o portarsene a casa un'orecchio come fosse il rimasuglio di un segmento di vita che segna la vita fino a graffiarla. La nascita di un figlio e il suo ingresso nel mondo degli uomini, un amore che ti ha tolto il fiato, che si fa civiltà nella sacralità del matrimonio, un legame spezzato, dolorante, abulico, che con poche parole si depone a margine del foglio a disegnare un arabesco, silensioso, dell'addio. Infine la morte, l'accomiatarsi dal mondo, lo spartiacque di un foglio che ti consegna all'oblio.

Nel sedimento ammuffito e maleodorante di quella carta si intrecciano esistenze. Al boccascena della storia, le cui sequenze temporali tornano ad inanellarsi negli scaffali rigonfi di scartoffie, si affacciano volti, episodi, brandelli di vita e di vite. In quei frammenti ci sono persone che hanno attraversato con serenità la finestra temporale concessagli o che hanno affrontato mille procelle prima di approdare all'ultimo scoglio. Nelle polveri che si levano, quando muovi quei cumuli di tempo, si ricompongono per un attimo le sembianze di chi è partito, la fisionomia stilizzata di chi ha lasciato la propria terra per cercare fortuna negli angoli più remoti del mondo. Uomini che hanno perduto la terra e la cittadinanza.

Ogni tanto viene qualcuno in cerca di sé. Persone che si attaccano alla storia come ne fossero il più estremo rimasuglio. Osservano, rovistano, scavano e scovano radici, rivoli minuscoli che adducono linfa al presente. Fra di essi ci sono alcuni che vorrebbero ristabilire un legame col passato. Sono cittadini stranieri con un avo "antico", cancellato dalla memoria nello scorrere delle generazioni. A volte si riscoprono italiani, richiedono di esserlo da ché la cittadinanza italiana si trasmette per sangue, lo diventano. Allora intravedi, nei loro occhi, tutta l'emozione di chi si riscopre parte di un cammino. Rivivi la pena dell'allontanamento e dell'abbandono, l'emozione delle madri che hanno pianto per i figli partiti, senti il frastuono dei treni in marcia verso la salsedine amara annidata nel porto, ti immagini gente appoggiata ai finestrini, a osservare il mondo scaraventato all'indietro. Qualche volta si libera una lacrima, un rigagnolo d'acqua a diluire gioia e sofferenza di chi riconnette il tronco alla radice.