Comuni uniti o comuni fusi? Il dilemma che stiamo attraversando

Articolo pubblicato su Guida al Pubblico Impiego (Il sole 24 ore)

 

Il  7 aprile 2014, con l'approvazione della Legge 56/2014, è andato definitivamente in porto l'ultimo intervento normativo in materia di riordino degli Enti Locali. La Legge in questione rafforza ulteriormente l'idea di una gestione organizzata per macro aree dotate di maggiore peso e costituisce occasione  per riflettere, una volta di più, sulle lentezze e le storture prodotte da una politica locale spesso avvitata su una visione rigidamente localistica dei fenomeni in atto. Di grande interesse, da questo punto di vista, è il tema del rapporto fra Unioni e Fusioni di Comuni. Per i Municipi al di sotto dei 5.000 abitanti si conferma l'obbligo di conferimento delle funzioni fondamentali alle Unioni nella logica di imporre, per via normativa, una lettura "larga" dei territori, cui si aggiunge la spinta all'incremento delle dimensioni di servizio quale strumento per realizzare le economie di scala che ne conseguono.

Al netto degli intenti del legislatore, le Unioni sono e rimangono enti spuri, che non hanno dignità costituzionale e che non sanciscono, di fatto, il passaggio ad un modello di gestione di tipo comprensoriale. Le ragioni di questa non convergenza fra intenzioni e risultato, sta nella natura delle Unioni quali enti di secondo livello. La logica insita nell'impianto della norma vorrebbe che il processo di accorpamento delle funzioni generasse, sul lato dei comuni, un progressivo svuotamento delle competenze, che condurrebbero a veri e propri enti "fantasma" senza più alcuna ragione di essere. Da qui nasce la resistenza al cambiamento. è altamente improbabile che i Sindaci, eletti direttamente dai cittadini, possano rinunciare a parti cospicue della loro autonomia decisionale in nome di una diluizione di queste prerogative all'interno delle Unioni. Anche immaginando un livello di maturità adeguato e una forte determinazione associativa da parte degli amministratori locali, sarebbero le pressioni dei cittadini a riportare l'attenzione dei Sindaci ai temi ristretti delle porzioni di territorio cui appartengono. In questa chiave le Unioni, assai più che come luogo della sintesi, si configurano come terreno di scontro, come pseudo istituzioni non legittimate e tenute per legge a svolgere il ruolo di super-comuni.

A complicare il quadro la semplice facoltà, e non l'obbligo, di adesione da parte degli enti con popolazione superiore ai 5.000 abitanti. Nella geografia frastagliata dei piccoli comuni italiani ne esistono alcuni, spesso confinanti con altri di dimensioni microscopiche, che possono vantare tali dimensioni demografiche. Ebbene può accadere, e spesso accade, che questi comuni facciano la scelta di rimanere fuori dalle Unioni, precludendo di fatto, a se stessi come agli altri, la possibilità di organizzare i servizi entro ambiti geografici ottimali. Le adesioni di questi enti alle Unioni, laddove si registrano, avvengono per lo più per ragioni puramente di principio, quindi senza la convinzione che è necessaria per attuare con profitto riorganizzazioni complesse come quelle di cui si tratta. Il risultato di queste dinamiche è che si producono spesso comportamenti ondivaghi: comuni che entrano ed escono dalle Unioni con spezzoni di servizio a seconda delle convenienze, vere o presunte, che si possono trarre dallo star dentro o dallo star fuori.

A tutto questo si deve aggiungere che le Unioni, anche in condizioni di funzionamento ideale, determinano per loro natura una duplicazione di parte degli adempimenti. Servizi come segreteria, protocollo e ragioneria, solo per citarne alcuni, debbono funzionare su entrambi i "fronti", con tutto quello che ne consegue in termini di acquisto di beni e di impiego del personale dedicato.

In questo quadro, considerato che un ripensamento delle dimensioni di gestione dei territori è imposto dai tempi, l'unica strada che appare percorribile senza che si producano costi aggiuntivi e inefficienze, appare quella delle fusioni. Sia chiaro: le fusioni non rappresentano la "panacea di tutti i mali". I comuni, grandi o piccoli che siano, sono semplicemente strumenti, e gli strumenti producono effetti in relazione a come li si usa. Per gestire il passaggio serviranno intelligenza, per comprendere a fondo le ragioni del salto, capacità organizzativa, per anticipare e gestire le criticità insite in ogni cambiamento, e soprattutto coraggio: il coraggio delle scelte radicali.

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