Via Panisperna
Roma. Il cuore dell'impero. E oggi, per puro caso, dovendo andare da dov'ero a dove dovevo andare, mi sono ritrovato in via Panisperna. La strada del celeberrimo Istituto di Fisica. Le strade, si sa, sono un po' come i pensieri. Connettono, diramano, biforcano, incrociano. Ma soprattutto, rendono labili i confini e sfumano le diversità.
Un salto indietro di ottant'anni ed eccoli lì: Enrico Fermi, Bruno Pontecorvo, Ettore Majorana, Emilio Segré. Un distillato di intelligenze troppo esplosive per rimanere costrette entro i confini imposti dal regime. Il fascismo li ridusse al nulla a colpi di leggi raziali, guerre dichiarate e combattute. Così, mentre le strade si chiudevano, Potecorvo raggiunse prima Parigi poi Mosca. Segré intraprese la via dell'insegnamento. Fermi ritirò il nobel lo stesso giorno in cui le leggi razziali furono promulgate e in terra straniera rimase fino alla caduta del regime. Majorana sparì senza lasciare traccia e non se ne seppe più nulla.
Umanità fragili e bisogno di comunità
Non sono più i tempi del riconoscimento nella generalità delle cose. Una volta era naturale cercare risposte comuni, a volte anche di tipo rituale, alle domande di ogni genere, da quelle afferenti al sistema dei bisogni elementari, fino a quelle cariche di contenuto ancestrale. L'individuo, nella sua singolartità, era intrinsecamente fragile e bisognoso di approdi collettivi. La vita politica, quella sindacale, la religione, erano tutte forme di collettivizzazione in grado di operare linearmente un processo di traslazione dall'unicità al tutto.
Se facciamo un balzo indietro di qualche secolo scopriamo, scritte nelle regole statutarie degli antichi Comuni, norme e regole la cui ratio sfugge totalmente alla nostra comprensione. Una su tutte, l'obbligo di amministrare il proprio comune, a turno, da parte di ogni cittadino, a consolidare l'idea che la sopravvivenza di ognuno si lega a quella di tutti e che occuparsi di tutti corrisponde ad un preciso obbligo di ognuno. E' come se l'esistenza del singolo non potesse manifestarsi a prescindere dall'esistenza di tutti. Di qui l'obbligo, a tutela della comunità, ma nella comunità anche del singolo, di occuparsi della dimensione collettiva.
Si tratta di un modello che è rimasto in piedi per millenni pressoché immutato. Certo, stanti le forme del momento attraversato, ma dentro un complesso di strutture economico sociali, spesso trasformate in diritto, con l'occhio perennemente rivolto al pepetuarsi delle comunità. Poi nella storia qualcosa si rompe e quel modello, intrinsecamente solidaristico ma anche carico di insedie, entra più o meno improvvisamente in crisi. E le insidie, in quella crisi e di quella crisi, sono il motore più potente.