Al ponte dell'arcobaleno

E' da  parecchi mesi che non sta bene. Il peso degli anni certo! Non mi corre più attorno, pazza di gioia, come faceva prima. A volte ci prova. Lo so, lo sento che vorrebbe lasciarmi attorno una cortina di felicità. Si mette in moto ma il dolore è più forte. Allora si siede, proprio sotto il mio naso, alza il muso e mi guarda negli occhi. Occhi pieni d'amore ma spenti, come quelli di chi non ha voce per gridare, di chi per sopravvivere deve stare attaccato ad una flebo ogni giorno. Il veterinario me lo ha detto. Diverse volte ormai: "Praticare l'eutanasia sarebbe un gesto di umana pietà". Più e più volte mi sono convinto che avesse ragione e più e più volte ho provato a dirlo: "chiudiamola qui". Ma la voce si strozza e non ci riesco. Stavolta però è deciso. Non si può accanirsi sulla vita per tenere se stessi al riparo dal dolore. E' in queste occasioni che si dimostra di essere uomini.

Così stamattina l'ho presa in braccio. L'ho tirata fuori dalla piccola cesta di vimini dove ha riposato per tanti tanti anni. L'ho posata con le zampette per terra per vedere se camminava, in cerca di un indizio che potesse invertire i miei intendimenti. Non cammina, arranca, quasi rotola, trema. La riprendo, l'avvolgo in una coperta morbida e vado. Il veterinario è abituato alla mia presenza. Mi vede quasi tutti i giorni ormai. Stavolta trovo il coraggio: "Facciamolo dottore". Lui borbotta le solite frasi di circostanza. Quelle di chi è abituato a gestirne tante di queste situazioni. D'altronde ... se queste cose le fai tutti i giorni non puoi farti prendere dai sentimentalismi. Devi trasformare tutto in una sobria routine.

Il veterinario mi dice di appoggiare la cagnetta sul tavolo. Quello di metallo. Asettico come la morte. Lo faccio. Mi volto un attimo per lasciare dietro le spalle le mie debolezze. Mi giro di nuovo ma loro, le mie debolezze, sono ancora tutte lì. Intanto è comparsa una siringa. Contiene un liquido giallo ocra. "E' un anestetico" mi informa il dottore, "sarà come sprofondare nel sonno, non sentirà niente". La frase mi consola un po'. Avvicino la mano al muso della cagnetta perché possa sentire che ci sono. Lei trema ma il contatto la rassicura. L'ago della siringa si insinua nella zampa a carcare la vena. Ma la vena non si trova e il cane chiama a raccolta le ultime forze. Tenta una reazione di difesa. "Bisogna legarle il muso" aggiunge il veterinario. "Non si può evitare dottore? La prego". "No mi spiace dobbiamo farlo". Un attimo dopo il musetto è serrato nelle fauci di una garza. L'ago si riapre la strada. Dai denti stretti esce a fatica un latrato di dolore. Vorrei strapparla di lì. Stringerla con tutta la forza e riportarmela a casa perché finisca fra le mie braccia, ci volessero cento anni. Poi abdico al dolore. Al mio come al suo.

Fuori, nel parco, c'è un amico da cui mi sono fatto accompagnare perché divida con me un po' di affanni. Lui sta cogliendo i fichi dal grande albero che troneggia al centro della scena. Le cose sono così. Di tanto in tanto la vita e la morte si stringono la mano e camminano fianco a fianco.

Intanto il liquido è entrato. Si è messo in circolo. La cagnetta si lascia andare. La sorreggo in quell'ultimo abbandono. La adagio piano piano su un fianco. Le parole non escono ma convinto come sono che possa captare almeno i miei pensieri, con tutta la forza della mente che riesco a mettere insieme, le mando a dire: "Addio Laika". Adesso si avvicina un'altra siringa. Stavolta il liquido è nero. Mai visto un liquido nero dentro una siringa. Anche i colori hanno un senso non c'è dubbio. Le cose seguono il loro corso. Implacabili. "Addio" penso di nuovo.

Però si dice che c'è un mondo oltre il mondo dove le creature senza paradiso inseguono i colori della vita. Si narra di un ponte. Un lunghissimo ponte sormontato da un arcobaleno splendente che non si estingue al dileguarsi delle rugiade. Spero che ci sia e che tu ci sia.